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Cronaca

Nel ricordo dell’eterno Renato Curi

Il 20 settembre 1953 nasceva il giocatore che il Perugia ricorderà a vita

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Nel ricordo dell’eterno Renato Curi

Il 20 settembre 1953 nasceva il giocatore che il Perugia ricorderà a vita

Il centrocampista si chiama Renato Curi, è la “dinamo” del Perugia di Ilario Castagner, promosso in Serie A per la prima volta nella sua storia undici mesi prima e protagonista di un campionato ragguardevole, ottavo posto finale impreziosito dalle vittorie con Torino e Juventus e dai pareggi a San Siro con Milan e Inter. Quel gol, segnato nello Stadio Pian di Massiano al monumento Dino Zoff, scuce lo scudetto dalle maglie bianconere e lo consegna al Torino di Gigi Radice. Per i granata è il primo (e ad oggi ultimo) tricolore dopo quelli conquistati dagli eroi di Superga.

Renato Curi il 16 maggio 1976 ha solo 22 anni, ma ha già sei stagioni da professionista alle spalle, quattro a Giulianova (due in D e due in C), una al Como in Serie B e quella del trionfo del Grifo, sempre in cadetteria.

Sembra la nascita di una bella e fortunata storia di calcio. Curi è l’interprete perfetto del “calcio totale” all’olandese che tanto piace emulare ai biancorossi umbri. In quegli anni si dice che sia finito nei radar di Fulvio Bernardini, il Commissario Tecnico della Nazionale chiamato al capezzale dell’Italia dopo il disastro di Germania 1974 e, soprattutto, nelle grazie di Gigi Radice che lo avrebbe visto benissimo accanto a Pecci, Sala e Zaccarelli.

Il gol a Zoff è il settimo in assoluto della sua carriera. Ne ha segnati altri due in Serie A, al Torino e uno al Cesena. Il gol a Zoff sarà l’ultimo in campionato della sua carriera.

Quello che succede poi, nei successivi diciassette mesi da quel gol, è l’inconsapevole marcia di avvicinamento verso una delle pagine più tristi che il calcio italiano abbia vissuto.

Il 30 ottobre 1977 la Juventus arriva a Perugia per una partita che alla vigilia si preannunciava caldissima, le due squadre si presentarono infatti appaiate in testa alla classifica in coabitazione con Milan e Genoa. Renato Curi nella vittoriosa trasferta di Bologna del 23 ottobre, non ha giocato: è infortunato. Ma in settimana fa di tutto per recuperare e la mattina di domenica 30, nell’ultimo provino utile, risulta abile e arruolato.

Il resto è storia purtroppo nota. La partita è bloccatissima, condizionata da una pioggia torrenziale, Curi prende un colpo da Causio, Castagner valuta la sostituzione ma il centrocampista stringe i denti e chiede di giocare ancora. Al 52’ Curi si accascia al suolo, cade “come corpo morto, cade”. Scirea, Benetti e Bettega capiscono subito la gravità della situazione e urlano ai sanitari di correre, di fare presto.

 “Ho un cuore matto come Bitossi” (campione di ciclismo degli anni 60-70) aveva dichiarato Curi, appena un mese prima, in un’intervista.

“Dice­vano che ero malato e mi mandarono al Centro Tecnico di Coverciano per controllare il battito irregolare. Ma è il cuore di atleta, quando corro e mi affatico i battiti sono per­fetti”.

In campo arriva subito la barella, poi la corsa affannosa verso il tunnel, il massaggio cardiaco, i tentativi di rianimazione e la volata in ambulanza verso il Policlinico che dista da Pian di Massiano meno di 4 km. Sette minuti di una corsa purtroppo inutile, la vita di Renato Curi era già volata via dall’erba dello Stadio di Perugia.

Stadio che 26 giorni dopo prenderà, per sempre, il suo nome, nel ricordo dell’eterno Renato Curi.

(da https://www.legab.it/seriebkt)


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