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Applausi per Ibra: manifesto del risorgimento rossonero

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Il rapporto tra Zlatan e il Milan è stato sicuramente diverso, rispetto a tutti gli altri che hanno marchiato la carriera variegata dell’attaccante. Arrivato la prima volta dalla Spagna, sponda Barcellona. Lì dove Guardiola,non riusciva a collocare nel suo scacchiere una figura così opprimente per la sua persona e per l’ambiente blaugrana. Galliani fiuta l’occasione e strappa lo svedese ai catalani, riportando il giocatore a San Siro e di conseguenza, il tricolore sul petto.

Sì, perché Ibra è sempre stato sinonimo di vittorie nazionali nella Serie A. Lui ha monopolizzato lo scudetto indipendentemente dalla casacca che indossasse. Due anni dopo viene mandato via contro la sua volontà, nonostante nei rossoneri avesse trovato l’ambiente ideale,per smettere di girovagare nel mondo, ma così non fu. Le casse del club berlusconiano chiedevano aiuto e la sua cessione all’ombra della Torre Eiffel combinata con quella di Thiago Silva, apparve necessaria alla società. Segnando inevitabilmente un declino milanista, durato fino al suo ritorno.

Il diavolo ha dovuto nuotare in stagioni melmose. Impantanato nelle sabbie mobili che sembravano non volerlo più lasciare andar via. La mentalità ambiziosa è sgretolata sempre di più, insieme a tutta quella bella scultura scolpita negli anni da Berlusconi e poi imbrattata in maniera becera, lasciandogli solo un nome privo di contenuto. La rinascita rossonera è coincisa con la proprietà del fondo Elliot.Impegnata a risanare una situazione economica di bilancio, ai limiti della stabilità. Ricostruendo un tessuto tecnico e credibile, tassello dopo tassello. Qui, con Boban e Maldini al timone, si apre il ritorno di Zlatan Ibrahimovic.

Segnato dall’infortunio subito al Manchester United. Ancora però voglioso, di convincere tutti che il vecchio leone, può dire ancora la sua. Dopo la cinquina presa a Bergamo, ecco che fa ritorno l’uomo svedese, unica eccezione che riesce a mettere da parte l’appellativo di “minestra riscaldata” perché con Zlatan, tutti questi luoghi comuni, restano dicerie da dire davanti il bancone di un bar.

Viene rispolverata l’ambizione sbiadita, come un vaso impolverato in soffitta che sembrava non stare più bene con gli altri mobili della casa. Ibra e Pioli sembrano essere la formula magica giusta, per tirare fuori dal tunnel privo di luce il Milan. Farlo risorgere verso un tricolore agli occhi di tutti inaspettato, ma che si trascinava all’interno degli interpreti,convinzioni costruite con la ferocia di un tempo. Ibrahimovic al Milan ha rappresentato l’emblema della mentalità vincente, in ogni allenamento, in ogni match e in ogni circostanza possibile. L’esempio di lavoro sul terreno di gioco, perché se certe fatiche vengono fatte da lui, le devono fare anche i più giovani.

La sua permanenza è diventata ancora più emblematica con il passar del tempo. Dimostrando di saper mettere nel cassetto il suo ego smisurato, per dare spazio alla capacità di dare una mano a tutto l’ambiente. Non c’era più soltanto l’Ibra divoratore, la macchina da goal. Si è potuto ammirare un calciatore maturo e pronto a tendere la mano al gruppo squadra come non aveva mai fatto in vita sua. Il saluto commosso della gente milanista a San Siro, non può che essere il giusto tributo per un campione strepitoso.Capace di convincere tutti a più riprese, che Zlatan Ibrahimovic, è infinito.




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