Calcio
Milan, anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno
Domenica sera, al termine del match pareggiato dal Milan contro la Dea, sono stati due i pensieri che hanno albergato nella testa dei tifosi rossoneri e addetti ai lavori. La soddisfazione per una partita dominata e giocata ad alti livelli. In aggiunta il gusto amaro per un pareggio non meritato, tra le cose, causato da un guizzo di protagonismo dell’arbitro Orsato.
Avvilente il doppiopesismo con il quale si applica o per meglio dire, si interpreta un regolamento. Con l’aggravante che ormai è diventata consuetudine permettere alla sala VAR di ergersi a vero e proprio giudice di campo. Ma il loro intervento non era vincolato al solo “chiaro ed evidente errore”? Ormai assistiamo a chiamate surreali per offrire la possibilità all’arbitro di ravvedersi della propria decisione di campo avvalendosi di un monitor per quantificare la forza o l’incidenza di un contatto.
Si è parlato di fallo da manuale se si considera il regolamento. Il tutto a supporto di una “on field review” durata appena tre secondi. Provo ad accettare questa tesi a patto che sia l’unico metro applicato affinché qualcuno non rischi, legittimamente, di confondersi le idee. Perché se per la sala VAR la “puntata al fianco” di Giroud è un fallo sanzionabile nonostante Holm si tenesse il volto facendo intendere altro (simulazione?!?), allora qualcuno spieghi meglio perché la “manata” di Bastoni a Duda è stata ignorata con la motivazione: “Si alza, mi guarda e poi si mette giù. Questa è furbizia”. Un metro equo e applicato a tutte le latitudini calcistiche. Tutto qua.
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Torniamo alla prestazione del Milan. Personalmente faccio fatica ad interpretare determinati pensieri. Se da un lato il tifoso rossonero snobba la Coppa Italia o addirittura il percorso in Europa League mantenendo fede alla gloria della storia rossonera tra Champions, considerata habitat naturale, e lo slogan “il club più titolato al mondo”. Come contraltare sembra ci si stia abituando ad un livello che è in antitesi a quanto detto prima. E spiego.
Domenica abbiamo visto una squadra che avrebbe strameritato una vittoria ma tradurre tutto questo in squadra espressione di bel calcio, è quanto meno un azzardo. Una squadra dominante non ha un possesso palla del 70% nella prima frazione, non riuscendo a fare nessun tiro in porta, gol escluso, e non portando nessun calciatore in area per porre le basi di un’azione d’attacco pericolosa.
Una squadra dominante difronte ad un avversario che ha scelto di fare le barricate, non si ostina alla solita giocata senza provare alternative. Il Milan è espressione dell’estro di quei suoi calciatori dalla cifra tecnica superiore. La pericolosità contro l’Atalanta porta il nome dell’asse TheAo (Theo Hernadez/Leao) dai quali sono nate tutte le occasioni da gol. È da tempo ormai che questa squadra ciclicamente rifiorisce dai soliti problemi e dalla riconosciuta incompiutezza grazie ai guizzi dei propri top player. Eppure c’è chi, a difesa del percorso, fa appello ai punti fatti e alla produzione offensiva visto il secondo attacco del campionato.
La risposta è semplice ed è anch’essa nei numeri. I 53 punti in 26 giornate valgono una proiezione di 77 punti finali vista la media di 2.03 a partita. Riguardo i gol fatti, il bottino di 50 reti fino a questo punto del campionato, è identico all’anno del secondo posto e due gol in meno dell’anno dello scudetto. Numeri che in quelle stagioni hanno fatto del Milan il quinto (2020/21) e quarto (2021/22) attacco della serie A. Con la sostanziale differenza di una fase difensiva vulnerabilissima e irrisolta.
Il timore è che questa squadra ormai abbia un funzionamento stereotipato. In assenza di una vera identità, ci si affida ai singoli. Tutto questo ci porta a vivere sempre lo stesso film. Belle prestazioni (poche), partite catalogate alla voce rimpianti (tantissime), pessime prestazioni con conseguenti sconfitte pesanti (la lista è fornita), sussulti di orgoglio che con il senno di poi, lasciano in bocca il chiaro sapore dell’illusione. Solo quella continuità mai avuta in questi quattro anni (tranne nel finale dell’anno dello scudetto) può tracciare il solco di un nuovo percorso.
In attesa di ciò che ci dirà il futuro, il passato e il presente hanno sempre più chiare sembianze di un orologio rotto. Non ci si illuda nel vedere l’orario corretto (vittoria o bella prestazione), perché un orologio rotto segna sempre l’ora giusta due volte al giorno.
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