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Milan, è possibile che nessuno se ne accorga?

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Milan, è possibile che nessuno se ne accorga? Andrei avanti per ore, per giorni con questo dubbio amletico. Ma non ho iniziato nell’immediato post gara della sciagurata sconfitta al Brianteo di Monza. Sono mesi che ci si è assuefatti ad una situazione che sembra suscitare le stesse identiche emozioni che si vinca, si pareggi o si perda. Ormai ci si “incazza” per lo score di Leao, le “papere” di Maignan, gli errori di Thiaw. Inevitabilmente la sconfitta diventa imputabile a queste figure che messe insieme creano un danno.

Fosse così semplice avremmo risolto il problema. Eppure, prima di arrivare al campo, ci sarebbe da soffermarsi un attimo e accendere i giusti riflettori su una serie di modus operandi che forse sono antitetici all’ambizione di tornare sul palcoscenico dei grandi. Anche se, riconosco perfettamente che queste riflessioni sono un atto di blasfemia per i dispensatori di “patenti di tifo”.

Però per farlo faccio appello a Hermann von Helmholtz, medico e fisico dell’ottocento. Lui sosteneva che la percezione della realtà è resa possibile grazie all’esperienza. Sulla base delle nostre conoscenze pregresse, le sensazioni che arrivano al nostro cervello in maniera frammentata e non elaborata, vengono poi associate tra di loro e integrate. Se osserviamo un oggetto piatto, di forma rettangolare, con diversi elementi bianchi e delle righe orizzontali scure siamo in grado di attribuirgli il significato di libro.

Allora provate a seguire il ragionamento. È possibile che nessuno se ne accorga?

Partiamo dai vertici. Nonostante il fiume di parole che ci ha accompagnato in questi giorni, domenica sera nell’immediato pre partita del match il Presidente rossonero, Paolo Scaroni, ha sgretolato tutti i sogni di un tifoso e se vogliamo, ha normalizzato l’ambizione storica di questo club: “Io sono un uomo d’azienda e quando penso al Milan lo faccio come ad un’azienda. L’obiettivo scritto è andare in Champions e siamo sulla buona strada. La base è l’equilibrio economico”.

Con tutto il rispetto per la situazione economico/finanziaria di un club e l’altrettanto encomiabile lavoro che questa società sta compiendo sotto questo punto di vista. Ma il Milan è una squadra di calcio con un passato glorioso e non può minimamente pensare di accontentarsi di ciò che per questi colori è la normalità, ovvero qualificarsi per la prossima Champions. In barba a quanto si pensi o si scriva nelle segrete stanze, la comunicazione ufficiale deve andare verso un’unica direzione: vincere, vincere e ancora vincere.

Una visione che ha un peso specifico sull’approccio mentale di un gruppo di lavoro che forse in determinati momenti si sente protetto da una forma di “alibi programmatico”. Eppure domenica sera l’attenzione è stata rivolta solo alle parole sulla questione stadio. Tra l’altro aspettativa ripagata con una supercazzola da manuale.

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È possibile che nessuno se ne accorga?

Capitolo Stefano Pioli. Il mister gode di un endorsement mediatico invidiabile. È vero, i suoi numeri sono inconfutabili tanto quanto lo scudetto vinto e la semifinale di Champions. Però pur cambiando l’ordine degli addendi (calciatori) il risultato non cambia. Esclusa la stagione passata, tre volte su quattro questa squadra si è assestata in zona podio con una proiezione di un’ottantina di punti finali o giù di li.

Bene, anzi, benissimo. Però questa impressionante costanza nei numeri, unita alla mai risolta questione infortuni, all’incapacità di andare oltre le quattro vittorie consecutive (unica eccezione le 6 vittorie consecutive nel finale dell’anno scudettato), alla difficoltà a mantenere un buon livello di squadra facendo cambi di formazione e alle difficoltà fisiche appena si presenta il doppio impegno settimanale, forse è sintomatico di un’appiattimento ad un livello che evidentemente non è nelle corde sue e del suo staff superare. Ai dispensatori di “patenti di tifo” e ai Pasdaran molto sensibili alle questioni di Milanello va ricordato che anche questi sono numeri difficilmente confutabili.

È o non è tutto riconducibile alla Teoria della percezione di Helmholtz? È l’esperienza (i fatti) a permetterci di collegare e dare un senso alle percezioni che ci arrivano dalla realta. Questo è il processo che ci conduce alla certezza che il percorso di Stefano Pioli è sintetizzabile in un’unica parola: capolinea. Non è un disprezzare la qualità di un ottimo professionista che grandi cose ha fatto al Milan e sicuramente continuerà a farle altrove. Ma è umano riconoscere ed accettarne un limite.

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