Nazionale
La Spagna può essere un modello per risollevare le sorti del calcio italiano?
Euro 2024 è stato davvero un torneo memorabile per la Spagna che ha vinto imponendosi per 2-1 sull’Inghilterra. Sotto la guida di Luis de la Fuente, la squadra ha non solo raggiunto la finale per la prima volta dal 2012, ma ha anche mostrato una rinascita del movimento calcistico nazionale sotto il profilo tattico. De la Fuente ha saputo ridare vigore ad un’idea di calcio: l’anacronistico tiki-taka. Lo ha aggiornato, ci ha egregiamente messo del suo e i risultati sono state le 7 partite vinte su 7, un’idea di gioco che convince e una rosa giovane e di talento. La Spagna può essere presa a modello dalla Federazione Italiana?
Spagna il tecnico federale al centro
Il successo spagnolo è frutto di programmazione, lavoro quotidiano e investimenti nei settori giovanili. Luis de la Fuente, nominato CT dopo l’eliminazione della squadra ai Mondiali da parte del Marocco, ha lavorato per oltre dieci anni nella federazione spagnola. Prima di guidare la nazionale maggiore, ha fatto una lunga trafila nelle nazionali giovanili. Ha allenato le nazionali under 19, under 18 e under 21, vincendo due Europei giovanili (under 19 nel 2015 e under 21 nel 2019). Ha guadagnato un argento con la selezione olimpica alle olimpiadi di Tokyo e anche la vittoria della Nations League nel 2023 con la nazionale maggiore. La federazione spagnola ha scelto un uomo che quei ragazzi pieni di talento li ha visti crescere nelle nazionali minori, infondendo loro una cultura calcistica precisa. La linea della federazione calcistica spagnola è semplice nell’idea e complessa nella realizzazione: la nazionale segue la stessa idea di calcio a tutti i livelli e tutti gli allenatori l’hanno accettata e portata avanti con successo.
Il modello delle squadre B
Oltre alla figura del tecnico federale l’altro segreto della vittoria della Spagna risiede nel sistema di squadre B, che da tempo fornisce ai club e alle nazionali giocatori importanti e pronti a giocare, essendosi già confrontati con campionati competitivi, campionati “veri”, che nulla hanno a che fare con i campionati Primavera. Nella Spagna campione del mondo nel 2010 20 calciatori su 23 hanno fatto la gavetta nelle squadre B dei rispettivi club. Nel 2024 i campioni d’Europa avevano nella formazione titolare 8 su 11 giocatori cresciuti nelle squadre B. Nella penisola iberica le seconde squadre sono normate sin dagli anni ’30 e sono state la fonte del successo di molti club. Tre Europei e un Mondiale vinti negli ultimi quindici, sedici anni, con tanti giocatori cresciuti in casa. Ne la Liga spagnola la percentuale di giocatori stranieri si aggira intorno al 37%, mentre i giovani formati nei club sono circa il 21%.
Il contesto italiano
In Italia la figura del commissario tecnico è andata scemando a favore di allenatori affermatisi a livello di club. L’Italia ha sempre sfornato grandi tecnici federali capaci di conquistare titoli e conquistarsi il cuore della gente, come fu per Bearzot e Valcareggi o Maldini. Uomini abituati al lavoro da selezionatore, abituati a portare avanti uno stile di gioco, una cultura calcistica. Dagli anni ’90 in poi, dalla scelta di affidare la panchina azzurra a Sacchi la figura di commissario tecnico federale è andata estinguendosi. Si sono poi susseguiti tecnici che venivano dal campionato, Lippi, Donadoni, Prandelli ecc. che hanno portato le loro idee, molto diverse tra loro, facendo emergere le difficoltà di un sistema a trovare una cultura unitaria, una direzione comune in cui remare . Ai tecnici federali sono rimaste le esperienze nelle nazionali giovanili e solo qualche breve parentesi in cui il posto da CT era vacante (che negli ultimi anni hanno portato a casa risultati incoraggianti). La figura di un commissario tecnico federale che costruisca sin dalle giovanili una identità calcistica e culturale su modello della Spagna potrebbe essere una soluzione a lungo termine da provare a seguire.
Le seconde squadre in Italia
Per quanto riguarda le squadre B la Federazione italiana ha aperto nel 2018 alla nascita di queste, sul modello della Spagna, ma il percorso è stato lento e faticoso. In sei anni solo Juventus, la prima in Italia, e l’Atalanta hanno iscritto la seconda squadra al campionato di Serie C. Dalla prossima stagione si inserirà anche il Milan. Lo scopo delle seconde squadre è quello di favorire la crescita dei giocatori, ma anche di tecnici e figure manageriali. La necessità delle seconde squadre è data dal fatto che il Campionato Primavera è poco competitivo rispetto ai campionati maggiori. I giovani crescono con un cordone di sicurezza e quando devono affrontare il salto di categoria, risultano impreparati rispetto ai pari di età che militano già in campionati maggiori. Nella Serie A 21/22 il minutaggio di under 21 italiani ha inciso solo 1,9% (Dati report Figc 2023). Il che significa che non hanno tempo per giocare, fare errori, imparare e migliorarsi. C’è poi un problema che è impossibile ignorare: in Serie A oltre il 60% di giocatori è straniero, ma questo in fondo è un problema che lasciamo volentieri alla politica.
Lo scenario è preoccupante, perché se a livello di nazionali giovanili l’Italia è quella che nell’ultimo decennio ha raggiunto il maggior numero di qualificazioni alle fasi finali di Europei e Mondiali a livello di movimento calcistico e nazionale maggiore i risultati scarseggiano, anzi latitano, con una felice parentesi di Euro 2021 che ha ritardato l’avvio di una riforma sistemica di cui il calcio italiano avrebbe bisogno. La Spagna dovrebbe essere presa a modello e anche alla svelta, per evitare il rischio di altre competizioni senza la nazionale azzurra.
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