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Jannik Sinner schianta Fritz e si prende il sogno americano

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“Non sono perfetto, so che non sarò mai perfetto. Ma a fine carriera sarà contento di aver provato a dare tutto per raggiungere i miei obiettivi”. Jannik Sinner non ha avuto bisogno di essere perfetto, per vincere gli Us Open. Non lo è stato nemmeno in finale, contro Taylor Fritz battuto con il punteggio di 6-3 ,6-4, 7-5, ma la superiorità dell’attuale numero 1 del mondo si è rivelata così netta da sfociare in un dominio. Come era stato in gran parte delle partite precedenti in queste due settimane. Con l’americano, quello che sognava di interrompere il digiuno Slam a stelle e strisce, che si è limitato a qualche fiammata effimera, qualcosa che non può bastare in questo momento per fermare il più forte di tutti.

Jannik, nessuno come te adesso

Sì, Jannik Sinner oggi è il tennista più forte al mondo, non solo per i due Major vinti quest’anno. Basta guardare la classifica Atp per sciogliere i dubbi: 11180 punti per lui, contro i 7075 di Alexander Zverev, secondo. Race? Eccola: 9000 punti per Jan, 6115 per Zverev. Medvedev, quarto, ha meno della metà dei punti dell’azzurro. Sinner è il primo uomo dopo i Fab Four – Federer, Nadal, Djokovic e Murray – a vincere almeno 22 partite Slam nello stesso anno. Ne ha vinte 23, per la precisione, terzo più giovane dopo Sampras e Nadal. Ma di numeri e record potremmo scrivere per ore, grazie a questa ennesima impresa.

La grande umanità di Sinner

Il punto però è un altro. Dopo il suo secondo Major in carriera, Jannik ha trovato modo – con le parole – di evidenziare la sua dote più grande, quella che lo distingue dalla maggioranza dei colleghi: l’umanità e la visione a 360 gradi della vita. Come quando ha parlato della zia malata (“che mi portava a sciare quando i miei lavoravano”), come quando ha ribadito che questa impresa americana – nata dopo il momento più duro della sua carriera in termini emotivi – è giunta “perché le persone importanti hanno saputo starmi vicino”. Non c’erano grandi aspettative, a sentir lui, alla vigilia. Invece è finita col trofeo che gli è stato consegnato da Andre Agassi, in un bell’incrocio di storie con quel Darren Cahill che è stato coach del Kid, e oggi insieme a Vagnozzi guida Jannik con l’obiettivo di fare la storia.




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