Cronaca & Spettacolo
Intervista ad Alessandra Clemente, una vita con la musica
Ciao Alessandra, raccontaci come nasce la tua passione per la musica?
La passione per la musica è nata già da bambina. Quando salivo in macchina volevo sempre avere la radio accesa, poi c’è stato il coro della Chiesa e poi mi sono avviata al canto.
L’aver conosciuto il mio Maestro, Giuseppe Murmura, ha cambiato tutto. Ho iniziato a studiare la lirica attraverso le cassette e ho scoperto un mondo. Mi sono poi fermata per un periodo, ma poi la voglia di musica è tornata e sono passata al canto moderno.
Ho frequentato il Conservatorio e qui ho conosciuto il Jazz. All’inizio non amavo questo genere, ma poi è entrato nel mio mondo per non lasciarlo più.
Sono stata poi a New York dove ho incontrato John Colianni con cui avremmo voluto imbastire un progetto, ma purtroppo la vita ha deciso diversamente e lui non è più con noi. In Italia intanto ho avviato un progetto Jazz con un quintetto che si è esibito al teatro di Camogli. Sto lavorando a un progetto sulle musiche di Benny Golson che sarà qualcosa di veramente impegnativo.
Parallelamente il mio amore per il Pop non è mai mancato. Ho lavorato con Andrea Rigonat, il marito di Elisa, per la mia canzone “Rising (from a shadow)”. Ultimamente, con il produttore Fabio Moretti, sono nate nuove canzoni ed è stato davvero bello.
Ho anche un legame familiare con Gino Paoli e vorrei realizzare anche un qualcosa legato alla sua musica. Nel mentre insegno e sono molto legata anche a questo.
Come nasce una tua canzone?
De André diceva che dal brutto può nascere qualcosa di bello. Credo quindi che da momenti di sofferenza o di profonda riflessione possano far nascere la creatività. Ricordo che il primo brano lo scrissi dopo la morte del mio cane… Ovviamente si può scrivere in qualsiasi momento, ma ci sono attimi che sono ricchi di significati profondi. E questo si vede nelle canzoni.
“Love Lullaby” è una canzone meravigliosa. Ci racconti il suo significato?
Si tratta di una ninna nanna d’amore dedicata a mia madre. All’inizio avevo pensato di cantarla in aramaico, ma le difficoltà sulla traduzione mi hanno spinto a prendere la strada dell’inglese.
Il testo parla dell’amore che un genitore ha nei confronti di un figlio. La vicenda è legata a mia madre che ha visto mia sorella partire e andare a vivere in Messico. Pur soffrendo, ovviamente, per il distacco e la distanza l’ha sempre sostenuta in ogni momento. Il centro di tutto è l’amore.
Ci racconti i tuoi riferimenti musicali?
In ambito Pop direi Elisa. Era l’unica cantante italiana a scrivere e cantare in inglese! Poi ci sono i Doors, i Sex Pistols e la scena anni ’80 con Poison, Bon Jovi, Duran Duran, Dire Straits e Europe. Ascoltavo tanto anche Bob Marley, Alanais Morisette e Joni Mitchell.
Genova poi è sempre stata una città molto aperta alle influenze musicali di tutto il mondo e quindi ho spaziato da Spandau Ballett a Cure, Pink Floyd ed Evanescence.
Genova, come dicevi anche tu, è stata una città sempre molto aperta al mondo…
Sì, ricordo che il mio primo fidanzato, William, era un marines e fu lui a farmi ascoltare per la prima volta i Pink Floyd. All’epoca con i miei amici passavamo molto tempo al porto e sulle navi. Capitava quindi di conoscere tutta la musica possibile ed erano momenti incredibili per noi.
Tornando alla tua famiglia. Cosa ne pensa Gino Paoli della tua musica?
In realtà non ci frequentiamo. Mio padre è cresciuto a casa Paoli, ma non c’è mai in realtà stato modo di conoscersi. L’ho visto una sola volta in cui ebbi modo di spiegarli l’idea del mio progetto. Ne era entusiasta, ma il Conservatorio bocciò il tutto. Da allora non c’è più stato modo di vedersi.
Ci hai raccontato i tuoi riferimenti Pop, ma in ambito di Jazz?
Ho conosciuto il Jazz molto tardi e inizialmente non lo amavo affatto. In 20 giorni preparai l’esame per il Conservatorio e quindi ci fu impatto forse brusco. Dopo un anno e mezzo è nata questa passione… Penso sia un genere musicale capace di regalare pace e il fascino dell’antico è qualcosa di prezioso.
Anita O’Day è stata un po’ la mia eroina. Lei era una selvaggia, una ribelle e mi sono ritrovata in questi caratteri della sua personalità. Poi c’è ovviamente Benny Golson!
Facciamo un gioco: diciamo che devi scegliere i musicisti per un concerto…
Ce ne sarebbero tantissimi! Penso a Benny Golson al sax e poi a Miles Davis. Direi però: Jaco Pastorius al basso, Jimi Hendrix alla chitarra, Billy Cobham alla batteria e Chick Corea alle tastiere. Sarebbe molto bello, no?
C’è un sogno nel cassetto?
Il mio sogno in realtà l’ho già realizzato. Vivo con il canto e la mia musica. Quello che mi piacerebbe in futuro è uno spazio maggiore sui palchi per le mie canzoni. Non ho interesse a cose tipo Sanremo o a contesti enormi, mi basta arrivare alle persone.
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